Clausole statutarie societarie

Come le previsione statutarie possono essere uno strumento anche per definire gli assetti patrimoniali post mortem

 

Prima di affrontare la tematica relativa alle vicende successorie in ambito societario, si deve distringuere tra società di persone e società di capitali ed analizzare le diverse conseguenze.In tema di società di persone trova applicazione il disposto di cui all'articolo 2284 c.c. per cui in caso di morte di un socio, la quota non cade in successione ma deve essere liquidata oppure gli altri soci possono decidere di continuare la società con gli eredi oppure decidere di sciogliere la società; viene fatta salva una contraria disposizione.

Nelle società di capitali invece, la regola è totalmente ribaltata in quanto la quota cade in successione salvo che vi sia una disposizione contraria; infatti l'articolo 2355bis c.c. si preoccupa di stabilire un "correttivo" qualora il trasferimento a causa dimorte sia in qualche modo non libero per la presenza di particolari clausole statutarie.

In dottrina sono state elaborate una serie di clausole, poi passate al vaglio della giurisprudenza che consentono di strutturarelo statuto delle società che consentano al socio una continuità familiare e/o societaria, da poter decidere fin dalla costituzione stessa della società oppure nel corso della vita societaria.

La ratio di tale diversità sta nel fatto che l'erede deve essere libero di scegliere se assumere la qualifica di socio illimitatamenteresponsabile non potendolo obbligare.In breve Clausole di continuazione:

Questa clausola serve principalmente nelle società di persone in cui per regola la quota non è trasmissibile salva la decisionedei soci superstiti o di una clausola già presente in statuto.La clausola in esame consente di far continuare la società e pone in capo agli eredi o ai soci( a seconda di come vienestrutturata la clausola) la scelta; si distingue all'interno di tale tipologia la clausola di continuazione automatica, facoltativa edobbligatoria.

Alcuni autori sostenevano che tali clausole fossero nulle in quanto avrebbero violato il disposto di cui all'articolo 458 c.c. e dunque il divieto dei patti successori. Tuttavia tale critica è stata "smontata" dalla dottrina dominante perché i soci pongono in essere tali clausole nel momento in cui viene inserita nel contratto quindi la stessa è valida ed operante fin da subito e trova la sua causa non nella morte del socioma è subordinata all'evento morte. Quindi non è un atto mortis causa ma un atto post mortem ovvero che esplica i suoi effetti dopo la morte. All'interno di tale tipologia di clausole, quella che ha fatto sicuramente destare più dibattito è la clausola di continuazione automatica; alcuni autori ritenevano che tale clausola impingesse non solo nel divieto dei patti successori ex art. 458 c.c. ma che pregiudicasse anche la libera scelta dell'erede.

Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza [Cass. 2632/1993. Contra: Cass. 19-3-2013, n. 15395: "È valida la clausola "di continuazione", con la quale i soci di una società in accomandita semplice prevedano nell'atto costitutivo, in deroga all'art.2284 cod. civ., l'automatica trasmissibilità all'erede del socio accomandatario defunto della predetta qualità di socio, purché non sia anche trasmesso il "munus" di amministratore, dal momento che tale funzione – a differenza di quanto previsto dall'art. 2455 cod. civ.per le società in accomandita per azioni – nella società in accomandita semplice non è attribuita di diritto a tutti i sociaccomandatari"] tale clausola può essere ritenuta valida in quanto la scelta dell'erede o del legatario a cui attribuire tale partecipazione è sempre rimessa alla volontà del testatore e soprattutto l'erede o il legatario potrà sempre rinunciareall'eredità o rifiutare il legato o accettare con beneficio d'inventario e dunque in alcun modo sarebbe compromessa la volontà di scegliere se diventare socio o meno di una società a responsabilità illimitata.

Tale clausola tuttavia ha ragion d'essere anche nelle società di capitali ma letta sotto un'altra ottica ovvero intesa come Opzione mortis causa.

Tale clausole consente di prevedere un diritto di opzione nei confronti dei soci superstiti che gli permette di acquistare laquota che altrimenti cadrebbe in successione ad un valore "equo" ovvero non inferiore a quello calcolato tenendo conto delvalore di recesso.

Clausole di consolidazione: Le clausole di consolidazione sono quelle clausole che impediscono la caduta in successione della quota e si distinguono inpure ed impure.

Le clausole di consolidazioni pure sono vietate sia perché violano il divieto die patti successori poiché i soci andrebbero adisporre di un diritto che scaturirebbe solo alla morte come il diritto alla liquidazione e soprattutto in quanto, le clausole inoggetto è come se fossero un (inammissibile) reciproco "testamento-contrattuale" (o "contratto-testamentario") tra tutti i soci, con il quale ciascun socio dispone della propria quota a favore dei soci che gli sopravvivranno.

Le clausole di consolidazione impura invece sono ritenute ammissibili dalla dottrina preferibile perché viene liquidato all'erede il valore della partecipazione.

Esaminate tali fattispecie, che costituiscono le due grandi macro aree in tema di vicenda societaria successoria, si deve altresì aggiungere che tali clausole, soprattutto nell'alveo delle società di capitali, possono essere modulate nei più vari modi adesempio affiancandovi clausole di mero gradimento, di gradimento non mero e di prelazione mortis causa.Tale flessibilità societaria offre svariate clausole in grado di soddisfare gli interessi dei soci che intendano pianificare lavicenda successoria pur non ledendo i divieti dei patti successori, binario intravalicabile, pena la nullità della clausola stessa.*a cura di Margherita Caccetta, Notaio

La Scissione

il confine tra scissione asimmetrica e non proporzionale

Di MARGHERITA CACCETTA

NOTAIO

 

La scissione è disciplinata dagli articoli 2506 e seguenti del codice civile.

Nel tempo la stessa è stata oggetto di “valutazione” interpretativa relativamente alla sua natura giuridica.

Inizialmente si riteneva che l’operazione straordinaria in esame fosse una vicenda estintivo-successoria e che quindi venisse meno l’ente “originario” per dare vita a nuovi enti ex novo.

Questa aveva un forte impatto anche dal punto di vista della struttura dell’atto qualora nel patrimonio sociale ci fossero immobili: infatti, aderendo a questa teoria, si dovevano inserire nell’atto tutte le menzioni urbanistiche, catastali e da ultimo anche la dichiarazione sulla prestazione energetica dell’immobile.

Con la sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la n. 2637 dell’8 Febbraio 2006, si è avuto un revirement in quanto la Suprema Corte ha posto fine al dibattito esistente ed ha statuito che la fusione (sentenza poi estesa a tutte le operazioni straordinarie, e quindi anche alla scissione) altro non sono che vicende meramente evolutivo-modificative della società stessa.

Essa quindi non è altro che una modifica dello statuto e quindi, qualora la società abbia immobili non sarà necessario inserire nell’atto le menzioni obbligatorie per i trasferimenti immobiliari.

La scissione consiste nell’assegnazione totale o parziale del patrimonio della scissa a favore di una o più beneficiaria esistenti o di nuova costituzione, che subentreranno quindi da quel momento in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla scissa.

Ai fini fiscali, così come ai fini civilistici, l’operazione di scissione è fiscalmente neutrale, ai sensi dell’articolo 173 del TUIR, e il passaggio del patrimonio della società scissa a una o più società beneficiarie - che non usufruiscono di un sistema di tassazione agevolato - non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d’impresa.

In particolare le fattispecie che più rilevano nell’ambito della scissione sono la scissione non proporzionale e la scissione asimmetrica.

La scissione non proporzionale è disciplinata incidentalmente dal quarto comma dell’articolo 2506 bis del codice civile e prevede appunto che i soci della scissa non partecipino nella stessa proporzione originaria a tutte le società beneficiarie.

La scissione asimmetrica è disciplinata invece dal secondo comma, secondo periodo, dell’articolo 2506 del codice civile; essa è tale quando i soci della scissa non partecipano ad una o più società beneficiarie venendo compensata la loro partecipazione “maggiore” in un’altra beneficiaria.

Comprendere quando si concreta una fattispecie piuttosto che un’altra è necessario al fine dei quorum.

Nella prima fattispecie, ovvero quella della non proporzionalità, si ritiene che il correttivo sia dato dal rimedio del c.d. “opt in”, ovvero una sorta di veto che consente ai soci di opporsi alla distribuzione non proporzionale dell’operazione e quindi di disciplinare la scissione in modo proporzionale.

Nella seconda fattispecie invece, il correttivo è dato dal consenso unanime, consenso negoziale.

Può quindi  ritenersi legittimo che, con il consenso unanime dei soci, ad alcuni di essi non siano assegnate partecipazioni di una o più società risultati da una scissione (siano esse la scissa o le beneficiarie), compensando tale mancata assegnazione con maggiori partecipazioni in qualsiasi altra o altre società risultanti.

Quindi tale consenso deve essere espresso in forma scritta e fatto pervenire prima della delibera oppure si può far emergere dal verbale di assemblea straordinaria che l’unanimità richiesta ai fini del quorum deliberativa valga anche come consenso negoziale all’operazione.

Perché ricorra la prima di tale fattispecie è tuttavia indispensabile che nessun socio sia escluso dalla assegnazione, anche se minima, di partecipazioni in tutte le società risultanti dalla scissione, compresa la scissa.
La scissione asimmetrica è invece disciplinata dal secondo periodo del comma 2 dell’art. 2506 c.c., il quale prevede che con il consenso unanime dei soci sia possibile non assegnare ad alcuni di essi partecipazioni in una delle società beneficiarie, ma partecipazioni della scissa.
Ciò che deve ritenersi in ogni caso non consentito, seguendo il solo schema della scissione non proporzionale o della scissione asimmetrica, è la assegnazione di partecipazioni secondo un rapporto di cambio non congruo, provocando quindi un arricchimento o impoverimento di alcuni soci.
Tale eventualità è ovviamente lecita, ma deve essere posta in essere secondo uno schema negoziale tipico che enunci la causa del trasferimento di ricchezza: donazione, vendita, datio in solutum, ecc.

Di recente, alcune massime del consiglio Notarile Triveneto, hanno ritenuto che l’unanimità possa essere “bypassata” ricorrendo al solo consenso di chi viene “pregiudicato” [non vi è mai pregiudizio perché l’operazione è sempre neutra dal punto di vista patrimoniale] o meglio, di chi ottiene “di meno” in una società beneficiaria, fermo restando che la percentuale minore viene compensata da una percentuale maggiore nella società scissa o in un’altra beneficiaria.

Nella scissione asimmetrica il “consenso unanime” richiesto dall’art. 2506, comma 2 , c.c., deve intendersi come il consenso dei soli soci cui non siano assegnate partecipazioni in una o più società partecipanti alla scissione, siano esse la scissa o le beneficiarie.
Tale disposizione, infatti, non appare volta a derogare all’eventuale regola maggioritaria vigente nella società scissa per le decisioni dei soci, bensì a tutelare il diritto individuale di ciascun di essi a non essere estromesso dalle iniziative imprenditoriali cui partecipa.
A quanto sopra consegue che:
a) il consenso dei soci alla scissione asimmetrica può essere prestato sia al momento dell’approvazione del relativo progetto sia antecedentemente che successivamente a tale momento, purché prima della stipula dell’atto di scissione;
b) non è necessario che una scissione solo parzialmente asimmetrica sia approvata anche con il consenso di quei soci cui verranno assegnate partecipazioni in tutte le società risultanti dall’operazione.

La scissione asimmetrica comporta notevoli vantaggi societari consistenti ad esempio nell’addivenire ad una separazione condivisa tra i soci e mantenere, seppur in società differenti, la continuità nello svolgimento dell’attività d’impresa. Con la scissione asimmetrica non proporzionale, infatti, viene operata una riorganizzazione aziendale che, oltre a superare i conflitti, consente un’equa distribuzione del patrimonio e il mantenimento di una autonomia decisionale che non incorra nel rischio di stallo gestionale. Tali obiettivi potranno anche essere esplicitati (ed anzi, è bene che lo siano) anche nel progetto di scissione redatto ai sensi dell’art. 2506-bis del codice civile.

Anche sotto l’aspetto fiscale, l’operazione presenta notevoli vantaggi: in primo luogo, in quanto scissione, rappresenta un’operazione fiscalmente neutra, in forza di quanto previsto all’art. 173 del TUIR; in secondo luogo, il passaggio patrimoniale della società scissa a una o più società beneficiarie non determina, di per sé, la fuoriuscita degli elementi 

Anche l’Agenzia delle Entrate in una recente risposta ad interpello la n. 155 del 05 marzo 2021. In questo caso, ha analizzato un’operazione di scissione parziale non proporzionale escludendone il carattere abusivo sul presupposto che la stessa non comportasse alcun vantaggio fiscale indebito, risultando atto fisiologico alla riorganizzazione delle attività facenti capo alla famiglia dei soci, anche in vista del futuro inevitabile passaggio generazionale.