Il recesso e la durata della società

di Margherita Caccetta

 

 Il diritto di recesso

Com’è noto, l’articolo 2437 del codice civile, in materia di s.p.a, introduce la tematica del diritto di recesso.

Tale diritto può essere esercitato dai soci che non concorrono alla formazione della delibera perché astenuti o dissenzienti o assenti.

La tematica ha una particolare rilevanza perché fa da controaltare al principio dominante in materia di società per azioni che è appunto il principio maggioritario.

Il diritto c.d. di exit, riconosciuto al socio che non concorre alla formazione della delibera, consente di non bloccare la società: con ciò la società non deve approvare le delibere all’unanimità, salvi alcuni casi.

Le ipotesi di recesso sono suddivise in causa legale di recesso e cause statutarie di recesso.

Tra le cause legali di recesso, al primo comma, indica ipotesi tassative e non eliminabili neanche per volontà dei soci; infatti il comma sei dell’articolo 2437 del codice civile sancisce con la nullità qualsiasi patto volto ad escludere o rendere più gravoso, l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma.

Il secondo comma invece consente tale possibilità di deroga, pur sempre all’interno delle cause legali di recesso, proprio perché inizia statuendo salvo che lo statuto disponga diversamente.

 

L’ipotesi su cui si vuole porre l’accento è la causa di recesso prevista dal terzo comma del citato articolo: Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno.

 

Si precisa subito che tale causa di recesso è una causa legale inderogabile e quindi riferibile al primo comma e non al secondo comma.

Questa causa di recesso è quella che viene chiamata causa di recesso ad nutum.

 

Le società di capitali sotto questo profilo si distinguono dalle società di persone.

In queste ultime, il diritto di recesso è disciplinato dall’articolo 2285 del codice civile, che prevede che ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci.

 

Viene dunque da chiedersi se anche nelle società di capitali possa ritenersi che al socio spetti il recesso ad nutum quando la durata, pur essendo determinata, ecceda di gran lunga la vita di un socio.

2. Il recesso ad nutum nella s.p.a e nella s.r.l.

In materia di recesso ad un mutuo in giurisprudenza di faceva una distinzione  tra la società per azioni e la società a responsabilità limitata.

In un primo momento infatti, si riteneva vi fosse una distinzione tra i due tipi sociali, pensando che il recesso ad nutum per durata lunga ma determinata fosse previsto solo per le srl .

Con sentenza del 22 aprile 2013, n. 9662 pertanto, la Corte di Cssazione aveva precisato che la funzione del termine di durata delle società è quella di stabilire l’aspettativa di vita della stessa in funzione della possibilità che il progetto di attività perseguito possa essere temporalmente determinato e delimitato.

Sulla base di questa considerazione, la Cassazione ha concluso nel senso che il riconoscimento del diritto di recesso ai soci nel caso di società a tempo indeterminato deve considerarsi legittimo in quanto “profilo di affidamento che il legislatore ha voluto tutelare e che non può essere limitato se non in presenza di un chiaro indicatore della riferibilità del termine finale di vita della società ad un orizzonte razionalmente collegato al progetto imprenditoriale che ne costituisce l’oggetto”.

Successivamente, in tema di s.p.a., il Tribunale di Milano con provvedimento cautelare n. 18236 del 30 Giugno 2018, ha trattato del recesso “per durata lunghissima” prevista nello statuto di una s.p.a ed ha mostrato di ritenere meritevole di tutela l’interesse del socio a evitare vincoli perpetui a prescindere alla connotazione personalistica o meno del tipo societario di riferimento.

3. Il recesso in caso di durata determinata ma eccessivamente lunga

Alcuni autori sostengono che la ratio alla base del recesso per durata indeterminata sia sostanzialmente identica a quella di una società la cui durata è determinata ma eccessivamente lunga.

Difatti, i notai del Triveneto, nella loro massima n. F.A.1, si sono espressi in tal senso: nel caso della «durata particolarmente lunga, ai soci potrebbe essere riconosciuto il diritto di recesso».

In giurisprudenza, sul punto, la Corte d’appello di Trento ha ritenuto con sentenza del 22 dicembre 2006, la spettanza del diritto di recesso al socio di Srl in caso di «intervenuta proroga del termine di durata della società ad una data successiva all’aspettativa di vita dei soci» e la Cassazione, con sentenza 22 aprile 2013, n. 9662, ha deciso che in una Srl la cui durata sia «fissata in epoca lontana, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, il socio ha diritto il recedere, sussistendo le stesse ragioni che hanno indotto il legislatore ad attribuire il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato».

Si motiva dunque sulla ratio sottostante alla normativa, ovvero quella di non tener un socio “imprigionato” all’interno della società.

La tesi opposta è invece sostenuta dal Consiglio Notarile di Roma che osserva che la facoltà di recesso in caso di durata indeterminata ha una valenza diversa in quanto, quando è presente un termine di durata, il rapporto sociale si scioglie in caso di mancata proroga della scadenza della società; quando invece il termine di durata sia assente, è il socio che può volontariamente sciogliere il proprio vincolo associativo.

Ad avviso dei Notai romani, non è possibile estendere analogicamente la disciplina in tema di società di persone alle società di capitali perché in queste ultime, si è preferito offrire al socio la possibilità di recedere solo nel caso di società contratta a tempo indeterminato, senza accordare il medesimo diritto nel caso nel quale la durata della società fosse commisurata alla vita di uno dei soci.

La ragione di tale scelta legislativa, sarebbe da rintracciare nella differenza strutturale tra le società di persone a carattere “personalistico” e la società di capitali, nelle quali assume preminenza la struttura organizzativa della società.

Si osserva, inoltre, che nelle società di persone i soci hanno la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali e che questa situazione necessita di un’attenuazione per evitare che il socio rimanga per lungo tempo responsabile delle obbligazioni sociali, senza potersi affrancare da tale gravosa responsabilità. Nelle società di capitali, invece, questa esigenza non è avvertita, dal momento che il socio non rischia più del valore della propria partecipazione.

Infine, secondo la massima in commento, si deve porre l’attenzione sul carattere sfuggente del concetto di «durata eccedente l’aspettativa di vita di un socio», in quanto la varietà della situazioni possibili rende impervia la definizione di tale concetto. A voler poi tacere del fatto che la compagine societaria sia composta solo o anche da soci diversi dalle persone fisiche.

 

 

4. Verso un parziale revirement? A confronto la Cassazione n. 9662/2013 e la Cassazione n. 8962/2019

La controversia che ha dato luce alla sentenza del 2013, verteva sulla legittimità del recesso di un socio da una società a responsabilità limitata, a fronte di una deliberazione di riduzione della durata della società, con la quale si era accertato il diritto di recesso del socio, ai sensi dell'art. 2473 c.c., ritenendo che la delibera societaria era rivolta essenzialmente ad escludere una causa di recesso del socio.

Infatti, l'originaria durata statutaria, prevista per il 2100, era assimilabile, ad una durata a tempo indeterminato, trattandosi di un'epoca così lontana "da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo".

Nella fattispecie che ha portato all’emanazione della sentenza del 2019, si discute, invece, di una durata statutaria fissata al 2050.

Il ricorrente assume che detta previsione sia equivalente a quella a tempo indeterminato, deducendo che la durata del 2050 supera, non "la ragionevole data di compimento del progetto imprenditoriale" (come affermato nella pronuncia n. 9662/2013), ma la propria aspettativa di vita ovvero la durata media di vita del socio-persona fisica,

La corte di cassazione ha ritenuto che tale circostanza fosse del tutto irrilevante e pertanto ha cassato il ricorso dando rilevanza dunque al progetto imprenditoriale che la società prevede di portare a termine e non all’aspettativa di vita del socio ritenendola del tutto irrilevante.