La presenza di un interesse diffuso nella S.p.A.

di Margherita Caccetta

 

  

Massima n. 184 - Attribuzione di diritti diversi al ricorrere di condizioni «soggettive» dei soci (artt. 2348, 2351 e 2468 c.c.; artt. 127-quater e 127-quinquies, TUF)

 

Anche al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (ad es. art. 2351, comma 3, c.c., artt. 127-quater e 127-quinquies, TUF), sono legittime le clausole statutarie di s.p.a. mediante le quali, senza dar vita a una categoria di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c., vengono attribuiti diritti diversi in dipendenza di circostanze relative al singolo socio, astrattamente riferibili al socio non determinato, purché non diano luogo a condizioni meramente potestative o a differenziazioni illegittimamente discriminatorie. Le medesime clausole sono altresì legittime nella s.r.l., non determinando in tal caso la creazione di un diritto particolare ai sensi dell'art. 2468, comma 3, c.c., né la creazione di una categoria di quote.

In mancanza di diverse disposizioni dell'atto costitutivo o dello statuto, l'introduzione di tali clausole è deliberata dall'assemblea con le maggioranze richieste dalla legge o dallo statuto per le modificazioni statutarie, a condizione che sia rispettato il principio di parità di trattamento, salvo il diritto di recesso ai sensi dell'art. 2437, primo comma, lett. g), c.c. (per le s.p.a.) o dell'art. 2473, comma 1, c.c. (per le s.r.l.), ove ne ricorrano le condizioni.

Commento:

Una delle principali differenze tra società per azioni e società a responsabilità limitata è data dalla posizione del socio all’interno della società.

Infatti la società per azioni esprime il massimo modello di società di capitali in cui la persona del socio non rileva ma, si tiene conto soltanto delle azioni di cui esso è portatore.

Nelle società a responsabilità limitata, invece, il principio sopra esposto non è così rigido; difatti all’articolo 2468 del codice civile è consentito che: “Se l'atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento.

Resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili.

Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo e salvo in ogni caso quanto previsto dal primo comma dell'articolo 2473, i diritti previsti dal precedente comma possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.

 

E’ possibile dunque, con delibera da adottarsi all’unanimità, che la società possa attribuire diritti particolari al socio della s.r.l. in considerazione (ad oggi) dei più svariati fattori (ad esempio il diritto a nominare cariche sociali, nonché ad una distribuzione più che proporzionale degli utili od ancora per qualità particolari del socio stesso).

Tali diritti non possono eliminarsi se non con il consenso di tutti i soci e sono “inviolabili” tant’è vero che, in sede di operazione straordinaria, si devono conservare tali diritti manente operazione per un più sostanziale principio di parità di trattamento.

Proprio per la “summa divisio” sopra esposta, al socio titolare del diritto particolare nella s.r.l., verrà riconosciuta in sede di trasformazione in s.p.a., ad esempio, una categoria di azioni avente come contenuto, nei limiti di compatibilità, l’oggetto del diritto particolare. Ciò perché nelle società per azioni vige il più generale principio di uguaglianza delle azioni che può “derogarsi” solo con la creazione di categorie di azioni e non con l’attribuzione del diritto direttamente al socio (anche se poi nel concreto, la totalità delle azioni della categoria era detenuta solo da quel socio.)

L’articolo 2348 del codice civile, statuisce che:

[1] Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.

[2] Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. 

[3] Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.

Tale articolo dunque detta, al primo comma, il principio saldo e fermo di uguaglianza tra le azioni ammettendo che, possano crearsi categorie di azioni, ma che le stesse debbano avere uguali diritti.

Ciò significa che la categoria di azioni va a qualificare soggettivamente uno status del socio ma vuole oggettivizzare una caratteristica che lo statuto attribuisce alla categoria intera.

Il Consiglio Notarile di Milano elabora, nella Massima 184, un principio che può sembrare “eversivo” rispetto a quanto sopra esposto per le società per azioni e (almeno in parte) anche per le società a responsabilità limitata.

La Massima asseconda e dà seguito ad un altro suo precedente pronunciato in tema di attribuzione di diritti ai soci (e non alla categoria), nella massima 144, che pur non trattando delle condizioni soggettive, nella motivazione afferma che il diritto di voto può essere condizionato a « situazioni "soggettive" legate al titolare delle azioni (ad esempio la sussistenza o meno di determinati requisiti soggettivi dellazionista)».

 

Sarebbe dunque prevista la possibilità di inserire clausole statutarie nello statuto di una s.p.a. mediante le quali, senza dar vita a una categoria di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c., vengono attribuiti diritti diversi in dipendenza di circostanze astrattamente riferibili al socio (che però non viene determinato in statuto), purché non si dia luogo a condizioni meramente potestative o a differenziazioni illegittimamente discriminatorie.

Si comprende facilmente che la possibilità consentita dalla massima stravolge quanto detto perché sembrerebbe ammettere la possibilità di creare diritti riferibili all’azionista e non all’azione.

Tale dato non poggia le sue fondamenta sul dato letterale del codice civile né sulla dottrina prevalente sul punto che è ben nota.

E’ sicuramente più interessante, anche per comprendere il senso della massima, il punto di visto di alcuni autori, più possibilisti, che accedono ad un’interpretazione estensiva (e forse teleologica) della norma, ritenendo possibile tale previsione statutaria.

In primo luogo non si deve dimenticare che la possibilità di attribuire diritti al singolo azionista è prevista ab origine anche nelle S.p.A all’articolo 2340 del codice civile che consente ai soci promotori di riservarsi dei benefici.

Certamente qui la situazione è differente nondimeno perché l’attribuzione non avverrebbe in sede di costituzione ma potrebbe anche avvenire durante la vita della società non solo nei confronti dei soci fondatori e dunque entrando in un campo non disciplinato dal codice civile.

Clausole che attribuiscono diritti ai singoli azionisti sono frequenti negli statuti delle società americane che, ad esempio, premiano gli azionisti fedeli conferendo loro taluni diritti sociali, uno fra tutti, sicuramente il più conosciuto, quello di attribuire un “premio” per il tempo di detenzione delle azioni collegando tale premio, ad un diritto sociale come il diritto di voto.

Tuttavia, vi potrebbero essere altre ipotesi a cui collegare un diritto amministrativo o patrimoniale, a caratteristiche soggettive, potenzialmente riferibili ad ogni socio: ad esempio, una clausola di prelazione solo a favore di soci che svolgono un’attività conforme all’oggetto sociale.

Tali autori fanno leva sul dato testuale del codice civile che prevede in taluni casi, la possibilità per lo statuto di attribuire diritti diversi non già ad azioni oggettivamente individuate a priori, bensì agli azionisti che si trovino in determinate condizioni.

Si pensi ad esempio all'articolo 2351, comma 3, del codice civile, il quale consente di prevedere una limitazione al diritto di voto "in relazione alla quantità delle azioni possedute da uno stesso soggetto".

In questi casi l'attribuzione di diritti diversi o più ampi, o la limitazione dei diritti dei soci, non dà luogo alla creazione di categorie di azioni, in quanto tutte le azioni in cui è suddiviso il capitale sociale sono astrattamente destinatarie della medesima regola e possono quindi sopportare la limitazione del diritto di voto, nel primo caso, o possono beneficiare della maggiorazione del dividendo o del diritto di voto, nel secondo caso, in dipendenza di circostanze "soggettive", ossia relative al socio che detiene le azioni.

Il limite è soltanto posto dal comma terzo dello stesso articolo 2351 che prevede, per evitare stalli decisionali, o abusi di maggioranza, che tali azioni non possano superare la metà del capitale sociale.

Tuttavia gli autori a sostegno dell’ammissibilità fanno leva principalmente sulle norme del Tuf.

Si pensi altresì agli articoli 127-quater e 127-quinquies TUF, i quali consentono di attribuire una maggiorazione del dividendo e del diritto di voto a ciascuna azione detenuta dal medesimo azionista per un determinato periodo continuativo di tempo.

La maggiorazione del dividendo subordinata al possesso azionario è valida tuttavia nelle società “aperte” in quanto solo in tali società sarebbe possibile un forte riconoscimento dell’interesse di un gruppo di azionisti accomunati da un interesse inteso in senso economico.

Nelle società per azioni “chiuse” invece, si potrebbe ricorrere al ben noto istituto della categoria di azioni in cui la “spersonalizzazione” del socio è assoluta e compatibile soltanto con le diversificazioni ottenibili mediante le categorie di azioni.

Bisogna tuttavia riconoscere ai sostenitori di tale teorie, che il voto scalare e il voto massimo erano fino a poco tempo fa, istituti esclusivi delle s.p.a. “aperte”, ed oggi sono fruibili anche della s.p.a. “chiuse”.

Non dissimilmente infatti il voto maggiorato sembrerebbe sfruttare una tecnica per molti versi simile al voto scaglionato o massimo, poiché sempre ad una situazione soggettiva dell’azionista – in questo caso la quantità del possesso azionario, nell’altro caso la sua durata – e non già ad una caratteristica dell’azione si ricollega una diversa modulazione del voto (in un caso ampliandolo, nell’altro restringendolo).

Quindi la massima non parla di categoria ma inserisce un nuovo elemento per le società “chiuse” ovvero quello dell’interesse sotteso ad alcuni gruppi di soci ben ravvisabili anche nelle società non ad azionariato diffuso (dipendenti, investitori di breve, di medio o di lungo periodo, istituzionali, fondi sovrani, “consumatori” in senso lato, cioè interessati o coinvolti dall’esercizio dell’attività sociale per ragioni di fruizione diretta o indiretta di beni, servizi e relativi indotti, o per ragioni di impatto territoriale).

Viene in rilievo quindi il concetto di interesse diffuso, quasi mutuando tale termine dal diritto amministrativo, facendo proprio riferimento a quell’interesse condiviso da una cerchia di soggetti accomunati dal veder realizzato quell’obiettivo di cui l’interesse si fa portatore.

Si evince dunque da un’interpretazione estensiva delle norme del T.u.f. che, anche nelle società chiuse potrebbe essere dato rilievo a gruppi di azionisti contraddistinti da un interesse comune sebbene i soci appartenenti a detti differenti gruppi non siano titolari di azioni di diversa categoria.

I sostenitori di tale teorie ravvisano quasi una violazione dell’articolo 3 della Costituzione nella parte in cui non estende tale possibilità anche alle s.p.a. chiuse.

Tali azionisti pertanto, potrebbero essere accomunati da un interesse di gruppo distinto dalla categoria di azioni perché magari limitato ad un determinato periodo di tempo o una circostanza che potrebbe forse realizzarsi (dato ad esempio dalla durata dell’investimento azionario nonché dalla capacità di influenzare le decisioni sociali magari per le capacità aziendali dei soci) e che dunque non renderebbe necessaria la creazione di una categoria di azioni.

Bisogna tuttavia riconoscere che nelle società aperte i diversi comportamenti sul mercato finanziario da parte degli azionisti, mossi da interessi eterogenei, sono oggettivamente in grado di porsi come indici delle motivazioni dell’investimento e di segnalare a quale delle diverse categorie di investitori.  Nelle società chiuse ciò potrebbe ravvisarsi con più difficoltà; non per altro perché nelle s.p.a. “aperte”, gli azionisti sono mossi da interessi volti all’investimento ed al profitto in misura molto maggiore rispetto alle s.p.a. “chiuse”.

Infatti anche i sostenitori della clausola nell’ambito delle società quotate ritengono che tale norma non sia estensibile alle società chiuse proprio in virtù dei diversi principi che regolano le due tipologia, in quanto, tra l’altro, nelle società quotate, la maggiorazione del diritto di voto di cui all'art. 127-quinquies TUF è l'unica possibilità di derogare verso l'alto la regola one share one vote, mentre le società chiuse possono liberamente declinare qualsiasi ipotesi di maggiorazione del diritto di voto, derivante anche da condizioni "soggettive" (anche diverse dal possesso continuativo delle azioni), quasi senza alcun limite.

Il Consiglio Notarile di Milano aggiunge un correttivo nell’introduzione della clausola.

Dunque se è pur vero che si consente di far emergere un lato soggettivo, esso però deve essere contemperato con il principio di uguaglianza di cui all’articolo 2348 c.c., nel senso cioè che tutte le partecipazioni sociali devono essere assoggettate, a parità di condizioni, alle medesime nuove regole.

Ciò che conferisce del possibilismo a tale massima è dunque dato dal fatto che sia rispettato “il principio di parità di trattamento e che tali diritti “siano astrattamente riferibili al socio non determinato e purché non diano luogo a condizioni meramente potestative o a differenziazioni illegittimamente discriminatorie.

Non bisogna, dunque, sovrapporre al principio di eguaglianza o parità di trattamento fra azionisti, il principio di proporzionalità.

L'attribuzione di diritti speciali ai soci dovrà sicuramente essere strumentale alla realizzazione dell'interesse della società con ciò non venendo neppure leso il principio di uguaglianza perché con esso si intende che tutte le azioni sono destinatarie della medesima regola.

I sostenitori della teoria positiva sostengono che anche prima della pubblicazione della massima, si potevano ravvisare, negli statuti, clausole che facevano emergere un interesse che accomunava non tutti i soci ma solo per alcuni; si pensi alle clausole di riscatto nei confronti dei soci che hanno superato il limite di tempo per la detenzione della partecipazione.

La costruzione in statuto di certe clausole fa comprendere come già prima dell’introduzione di tale massima, vi fosse una diversificazione delle situazioni attive e passive degli azionisti e che, dunque, il principio di uguaglianza dei diritti attribuiti dall’azione di cui all’art. 2348 c.c., non può ritenersi a priori incompatibile con forme di differenziazione delle posizioni giuridiche fondate su tecniche diverse dalle categorie azionarie.

Ciò che si propone la massima non è, dunque, di stravolgere il principio di uguaglianza ma di dare voce ad un interesse di un gruppo di soci, di potenziarne il loro il ruolo, ad esempio, di stimolare un miglior assetto di corporate governance attraverso l’attribuzione di diritti particolari esclusivamente a vantaggio di alcuni azionisti.

In tal modo il principio di uguaglianza è soddisfatto e non violato poiché molte volte risponde ad un interesse della società ma soprattutto non essendo riferito a soci determinati pone tutti nella condizione di ideale realizzazione di quel fatto a favore di tutti.

In ogni caso, non sarebbe neanche violato il principio del “one share one vote” in quanto la creazione di tali diritti non comporta l’elusione dei limiti previsti dall’articolo 2351 del codice civile.

Dunque la massima ci fa comprendere che anche se è vero che viene in rilievo il lato soggettivo, esso deve essere comunque contemperato con il principio di uguaglianza di ogni azione di cui all’articolo 2348 c.c., ovvero che tutte le partecipazioni sociali corrispondenti al socio che si trova ad avere quelle caratteristiche previste dal nuovo articolo di statuto, devono essere assoggettate alle medesime nuove regole.

 

Di fatto viene consentita la possibilità per le s.p.a di creare dei diritti da riferire a condizioni soggettive di soci ma non determinandoli.

Nella s.r.l. la possibilità di attribuire diritti ai soci senza qualificarli come diritti particolari, era stata già prevista in un’altra massima del Consiglio Notarile Triveneto I.I.31 e I.I. 33., che consentono di attribuire un diritto particolare a tutti i soci (non essendo dunque più un diritto particolare) nonché di attribuire un diritto a soci non determinati ma determinabili, richiamando l’articolo 1346 del codice civile.

Si evince che, nonostante ne sia ammessa la possibilità in fatto e ciò non contrasti con i principi sottesi del nostro ordinamento, non si comprende effettivamente quali conseguenze pratiche ed applicative migliori potrebbero derivarne rispetto all’utilizzo dello strumento della categoria di azioni.

Sicuramente un profilo di utilità, per l’introduzione della clausola, può ravvisarsi laddove vi sia un interesse “visibile” da parte del gruppo degli azionisti (magari anche coincidente con un interesse sociale) che non giustifichi l’introduzione di una categoria poiché magari l’interesse di cui essi sono portatori è limitato nel tempo e non avrebbe senso quindi introdurre una categoria speciale di azioni.

Bisogna in ogni caso considerare che l’introduzione di tali diritti non deve essere elusiva dell’articolo 2351 terzo comma c.c. come sopra richiamato.

Discorso a parte deve invece farsi per l’applicazione della disciplina delle categoria di azioni che ad oggi resta di dubbia applicazione in quanto se da un lato potrebbe ritenersi applicabile  visto che l’interesse sotteso ad un gruppo di azionisti non può ritenersi dissimile dall’interesse di cui è portatrice la categoria dall’altro, deve rilevarsi che l’articolo 2376 del codice civile, non è stato richiamato forse a fine di evitare le problematiche connesse alla sua disciplina (convocazione di assemblee separate, diritto di recesso/veto etc..).

Traducendolo dunque dal punto di vista pratico, vi sono alcune tematiche che non passano inosservate e che la dottrina favorevole all’introduzione risolve allo stesso modo delle società quotate.

Innanzitutto occorre precisare che il nome del socio non viene inserito nello statuto (come invece previsto in caso di s.r.l. per i diritti particolari ex articolo 2468 del codice civile).

Ulteriore problematica che potrebbe porsi è in tema di circolazione del diritto in caso di cessione delle azioni.

Si desume che il diritto essendo insito nello statuto sopravvive se l’acquirente gode di quella situazione soggettiva.

In tema invece di circolazione mortis causa lo stesso si trasmetta agli eredi essendoci una continuità giuridica dal de cuius agli eredi.

In tema di operazione straordinaria, si argomenta allo stesso modo ritenendo ormai questa un’operazione evolutivo-modificativa nonché sulla base dell’articolo 2501 ter del codice civile.

Una tematica aggiuntiva è quella connessa all’accertamento del quorum costitutivo e deliberativo poiché sembra che in tale campo debba farsi ricorso non al peso dell’azione ma al peso del voto esprimibile alla stregua di quanto già si fa in tema di voto plurimo (sul punto la sopra citata massima 144 del Consiglio Notarile di Milano):

Esempio di Clausola:

Art.  - Attribuzione di diritti diversi al ricorrere di condizioni «soggettive» dei soci

 

S.p.A: “Senza che ciò dia vita a una categoria di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c., i soci che detengono la loro partecipazione da più di un anno hanno diritto a due voti per ogni azione per le delibere aventi ad oggetto…

(si può modellare la clausola a seconda delle esigenze ad esempio circoscrivendo l’ambito e le delibere in cui si può avere il voto maggiorato)

In caso di circolazione delle azioni tale diritto decorre ex novo dal momento della cessione (oppure ad eccezione del trasferimento tra familiari).”

S.r.l.: “Senza che ciò determini la creazione di un diritto particolare ai sensi dell'art. 2468, comma 3, c.c., né la creazione di una categoria di quote, i soci che detengono la propria partecipazione da più di un anno hanno un voto più che proporzionale nelle delibere aventi ad oggetto…. nella misura di due voti.

In caso di circolazione delle azioni tale diritto decorre ex novo dal momento della cessione (oppure ad eccezione del trasferimento tra familiari).”

Art.  - Attribuzione di diritti diversi al ricorrere di condizioni «soggettive» dei soci

 

S.p.A./S.r.l: “Senza che ciò dia vita a una categoria di azioni ai sensi dell'art. 2348 c.c.,[Senza che ciò determini la creazione di un diritto particolare ai sensi dell'art. 2468, comma 3, c.c., né la creazione di una categoria di quote],

i soci che sono imprenditori nel settore alimentare (ad es. settore conforme all’oggetto sociale) hanno diritto di prelazione a parità di condizioni, qualora uno o più soci intendano vendere la propria partecipazione sociale.

I soci che intendono vendere la propria partecipazione, dovranno comunicarlo agli altri soci a mezzo di….

Coloro che hanno le qualifiche di cui sopra e che intendono esercitare la prelazione dovranno comunicare la propria volontà di esercitare il diritto entro… dal ricevimento della denuntiatio, pena la perdita del diritto.

La denuntiatio ha valore di.. (proposta contrattuale o mero invito ad offrire).

In caso di mancato rispetto del diritto di prelazione, la cessione effettuata in violazione è inefficace nei confronti della società (disciplinare qui la natura reale od obbligatoria della clausola).