Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 11 novembre 2014 – 16 novembre 2015, n. 23406
Presidente Di Palma – Relatore Scaldaferri
Possesso dei beni ereditari- rinuncia all’eredità- diritti di cui all’art.540, 2° co., c.c.
La permanenza, dopo il decesso di un coniuge, da parte dell’altro nella casa familiare è qualificabile “come esercizio del diritto di abitazione e di uso dei mobili che la corredano, spettante al coniuge superstite quale legatario ex lege (art. 540 c.c.) in ogni caso, anche nell’ipotesi di successione legittima, e quindi a prescindere dalla sua ulteriore qualità di chiamato all’eredità”
In fatto e in diritto
E' stata depositata in Cancelleria la seguente relazione: "Il consigliere relatore, letti gli atti depositati, rilevato che G.T., N.R.L. e M.I., in proprio e in qualità di eredi del rispettivo coniuge e padre C. I., hanno proposto ricorso per cassazione della sentenza, depositata il 16 gennaio 2012 e notificata il 25 maggio 2012, con la quale la Corte d'appello di Napoli, in accoglimento del gravame proposto dalla Curatela del Fallimento .... S.r.l. avverso la sentenza del 21 dicembre 2006 del Tribunale di Napoli, ha condannato i ricorrenti, in qualità di eredi di C. I. deceduto nel corso del giudizio di appello, al pagamento della somma di euro 1.454.535,44 (oltre rivalutazione ed interessi) a titolo di risarcimento danni da responsabilità ex art. 146 legge fallimentare;
che l'intimata Curatela resiste con controricorso;
considerato che con il primo motivo i ricorrenti censurano, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (artt. 485, 540, 1022, 2697 cod.civ. e 113, 190 cod.proc.civ.) e sotto quello del vizio di motivazione, le statuizioni con cui la corte di merito ha dichiarato la legittimazione passiva degli stessi fondandosi sul presupposto, errato secondo gli eredi I., che essi, al momento dell'apertura della successione, si trovassero nel possesso dei beni del de cuius (nella specie, la residenza familiare e i beni mobili che la corredano), e che pertanto fosse tardiva la loro rinuncia all'eredità effettuata oltre i termini di cui all'art. 485 cod.civ.; che con il secondo motivo si dolgono, sotto il profilo della violazione dell'art. 485, comma 2, cod.civ. e sotto quello del vizio di motivazione, delle affermazioni con cui la corte territoriale ha ritenuto di non doversi pronunciare sulla impugnazione a sua volta proposta da C. I., fondandosi sul presupposto, erroneo secondo gli odierni ricorrenti, che essi - costituendosi a seguito della riassunzione del processo- non avessero fatto proprie, nemmeno in via subordinata o implicita, né le difese né l'appello incidentale proposti dal de cuius., che con il terzo motivo denunciano la violazione di norme di diritto (artt. 303 e 352 cod.proc.civ.) ed il vizio di motivazione della pronuncia impugnata, in relazione all'omesso esame dell'appello incidentale avanzato dal dante causa degli odierni ricorrenti; ritenuto che il primo motivo pare meritevole di accoglimento; che invero il fatto della permanenza, dopo il decesso del I., nella abitazione familiare da parte degli odierni ricorrenti appare qualificabile come esercizio del diritto di abitazione e di uso dei mobili che la corredano, spettante al coniuge superstite quale legatario ex lege (art.540 cod.civ.) in ogni caso, anche nella ipotesi di successione legittima (cfr. Cass.S.U.n.4847/13; Sez.2 n.18354/13; Sez.5 n.1920/08), e quindi a prescindere dalla sua ulteriore qualità di chiamato all'eredità; che pertanto sembra debba escludersi che il fatto di continuare ad abitare, dopo l'apertura della successione, nella casa familiare e ad utilizzare i mobili che la corredano possa aver conferito agli odierni ricorrenti la qualità di possessori di beni ereditari per gli effetti previsti dall'art.485 cod.civ.:la contraria opinione, espressa da Cass.n.11018/08, pare in effetti conseguente alla ivi ritenuta insussistenza del diritto di abitazione a favore del coniuge nella successione legittima, tesi smentita dalle Sezioni Unite di questa Corte nella
sopra richiamata sentenza del 2013;
che il secondo ed il terzo motivo, presupponendo la sussistenza, in capo agli odierni ricorrenti, della legittimazione passiva, dovrebbero ritenersi assorbiti nell'eventuale accoglimento del primo motivo diretto a negare tale legittimazione;
per questi motivi ritiene che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio a norma dell'art.380 bis cod.proc.civ. per ivi, qualora il collegio condivida i rilievi che precedono, essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata." In esito alla odierna adunanza camerale il Collegio condivide pienamente le considerazioni esposte nella relazione, avverso le quali del resto parte ricorrente non ha ritenuto di replicare. Si impone dunque, in accoglimento del primo motivo di ricorso (assorbiti gli altri), la cassazione del provvedimento impugnato. Quindi, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda svolta nei confronti degli odierni ricorrenti, per difetto di legittimazione passiva. Tenuto conto del mutamento di giurisprudenza intervenuto nelle more, si ritiene giustificata la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio e del giudizio di appello.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dal Fallimento Overseas s.r.l. nei confronti di G.T., N. R. I. e M.I., per difetto di legittimazione passiva. Compensa fra le parti le spese di questo giudizio di cassazione e del giudizio di appello.
Il commento
di Margherita Caccetta
Sommario: 1.Premessa; 2.Accettazione dell’eredità: in particolare l’accettazione tacita dell’eredità; 2.1 Casistica giurisprudenziale; 2.2. Accettazione presunta; 3.L’acquisto dell’eredità per effetto del possesso; 4.Rinuncia all’eredità; 5. Accettazione e rinuncia del legato; 6.Diritti di uso e abitazione spettanti al coniuge supersitite; 6.1. Le posizioni della giurisprudenza; 7. Conclusioni
1. Premessa
Gli eredi adivano la Cassazione, dolendosi della dichiarata legittimazione passiva, fondata sul presupposto, asseritamente errato, che "essi, al momento dell'apertura della successione, si trovassero nel possesso dei beni del de cuius (nella specie, la residenza familiare e i beni mobili che la corredano), e che pertanto fosse tardiva la loro rinuncia all'eredità effettuata oltre i termini di cui all'art. 485 cod.civ.".
Gli Ermellini accolgono la tesi escludendo che "il fatto di continuare ad abitare, dopo l'apertura della successione, nella casa familiare e ad utilizzare i mobili che la corredano possa aver conferito- agli eredi - la qualità di possessori di beni ereditari per gli effetti previsti dall'art. 485 c.c.". Per cui acclarato il difetto di legittimazione passiva, il ricorso va accolto e la sentenza cassata.
Con tale pronuncia pertanto la Corte di Cassazione afferma il principio, già enunciato nella sentenza della Corte di Cassazione sezioni unite n. 4847/2013, per cui il coniuge è legatario ex lege e non risulta possessore di beni ereditari qualora permanga ad abitare nella casa di residenza familiare.
2. Accettazione dell’eredità
La successione a causa di morte si mette in moto con l’apertura della successione, ai sensi dell’art. 456 c.c.., che determina la delazione dell’eredità al chiamato, la quale può attuarsi, ai sensi dell’art. 457 c.c., per legge o per testamento.
L’apertura della successione e la delazione dell’eredità non determinano di per sé l’acquisto dell’eredità in quanto ai sensi dell’art. 459 c.c., questa, salvi i casi di accettazione tacita o presunta, va accettata.
L’apertura della successione unitamente alla delazione costituiscono dei semplici presupposti per l’accettazione dell’eredità.
All’interno dell’ambito dell’accettazione, si distingue l’accettazione pura e semplice, dall’accettazione beneficiata: la prima determina una confusione patrimoniale tra patrimonio del chiamato e patrimonio del de cuius; la seconda invece tiene distinti due patrimonio conseguente limitazione di responsabilità dell’erede per i debiti ereditari entro i limiti del patrimonio del de cuius.
L’accettazione costituisce un negozio unilaterale, non recettizio in quanto la relativa dichiarazione non è diretta ad un destinatario dal quale debba essere conosciuta o conoscibile per produrre effetti.
L’accettazione inoltre è un actus legitumus, ovvero un atto che non comporta l’apposizione di termini o condizioni. espressa o tacita, l’effetto è quello di impedire la devoluzione dell’asse ereditario, ovvero dell’universum ius defunti ad ulteriori chiamati secondo le regole che governano la delazione ereditaria, previste dal nostro legislatore.
Accanto all’accettazione espressa, il legislatore prevede un altro modo di accettazione, l’accettazione tacita, individuata dall’art. 476 c.c..
Essa costituisce un tipo di accettazione fattuale nel senso che, il chiamato, pone in essere comportamenti tali da far presumere la volontà di accettare o quanto meno di non rinunciare (o per alcuni [1]rifiutare impeditivamente) l’eredità.
Tale tipo di accettazione deve essere necessariamente pura e semplice, non potendo essere beneficiata in quanto il chiamato per accettare con beneficio d’inventario deve porre in essere tutte le formalità richiesta dalle legge ai sensi degli artt. 484 ss. c.c.
All’ipotesi di accettazione tacita vengono ricondotte le ipotesi previste dagli artt. 477 e 478 c.c.
Più in generale l’ipotesi di accettazione tacita contempla due requisiti, come sostiene la giurisprudenza[2] ormai da tempo: essa richiede sia il compimento di un atto che sia compatibile con la volontà di accettare ma anche che l’atto posto in essere non possa essere compiuto se non da chi non sia erede.
Tali due aspetti, come sostiene parte autorevole della dottrina[3], sono da intendersi in relazione di alternatività e non di continuità.
Il fenomeno dell’accettazione tacita è stato oggetto di varie ricostruzioni che possono ricondursi essenzialmente a due teorie dottrinali.
Secondo l’orientamento[4] ad oggi minoritario, l’accettazione tacita dovrebbe far emergere la volontà da parte dell’erede di accettare l’eredità a lui devoluta.
Tale teoria, basata più sull’animus del successibile, fa leva proprio sull’intenzione del chiamato di voler accettare e pertanto con questa intenzione pone in essere atti incompatibili con l’essere erede.
Secondo l’orientamento ormai prevalente sia in dottrina[5] che in giurisprudenza[6], definito anche teoria “oggettivistica", si avrebbe accettazione tacita dell’eredità a seguito di atti concludenti ed univoci che siano obiettivamente incompatibili con la volontà di disconoscere l’eredità o di rinunciare alla medesima.
Tale impostazione sembra ben riassumersi in tale massima che viene di seguito riportata:
“L’accettazione tacita dell’eredità può desumersi soltanto dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato, con la quale venga posto in essere un atto di gestione incompatibile con la volontà di rinunciare e non altrimenti giustificabile se non in veste di erede; deve quindi trattarsi di comportamento del suscettibile, tale da presupporre, necessariamente, la volontà di accettare, secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale.
Privi di rilevanza devono invece ritenersi tutti quegli atti che, in quanto ammettano come possibili altre interpretazioni, non evidenziano in maniera univoca, un’effettiva assunzione della qualità di erede.
La relativa indagine deve essere effettuata dal giudice in relazione ad ogni singola fattispecie, tenendo conto in ispecie nell’ipotesi di possesso limitato a parte dei cespiti ereditari, del valore economico dei singoli beni, della natura ed importanza degli atti di gestione, dell’entità dei debiti ereditari ed, infine, delle concrete modalità di estinzione o pagamento delle passività”[7]
2.1. Casistica giurisprudenziale
Pertanto, ciò detto, devono considerarsi atti compatibili con un’accettazione tacita tutti quegli atti gestori, non potendosi qualificare come accettazione tacita, quegli atti di natura meramente conservativa che il chiamato può compiere anche prima dell’accettazione, ai sensi dell’art. 460 c.c.
Il qualificare un atto come accettazione tacita è da valutare da parte del giudice caso per caso tenendo conto di molteplici fattori tra cui quelli delle finalità, della natura e dell’importanza dell’atto di gestione e tale accertamento non è censurabile in sede di legittimità[8].
La giurisprudenza ha elaborato una serie di atti che costituiscono accettazione tacita dell’eredità tra cui:
- Proposizioni di domande, tra cui quelle dirette a ricostituire l’integrità del patrimonio ereditario, tramite azioni di rendiconto e di restituzioni di somme riscosse da terzi per conto del de cuius. E’ stato di recente anche sostenuto che l’intervento in giudizio operato da un chiamato all’eredità nella qualità di erede legittimo del de cuius costituisce accettazione tacita dell’ereditò, a tutela della stabilità degli effetti connessi alla successione mortis causa, si configura come atto irrevocabile e puro, insuscettibile di essere caudato da eventi successivi
- il compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale che non rileva solo dal punto di vista tributario ma anche civilistico. Non sembra essere ritenuto[9] invece, anche se vi è ancora qualche opinione contraria[10] sul punto, atto di accettazione tacita, la presentazione della Dichiarazione di Successione all’Agenzia delle Entrate, trattandosi di adempimento di natura prettamente tributaristica volta ad evitare il pagamento di azioni
- ogni atto che comporti transazione, divisione contrattuale dell’asse ereditario ovvero più in generale tutti quei negozi dispositivi di diritti che sono ricompresi nel patrimonio del de cuius
2.2. L’accettazione presunta
Accanto alla forma di accettazione espressa e tacita, il nostro ordinamento sembra contemplare un’ulteriore ipotesi di accettazione: l’accettazione presunta.
Tale ipotesi in realtà, non consiste in un’ipotesi di accettazione vera e propria, ossia in una manifestazione di volontà ovvero in un comportamento concludente, ma a tale fattispecie il legislatore ha ricollegato l’acquisto ereditario per effetto di un congegno legale al realizzarsi di determinate fattispecie.
sofferandoci in seguito sulla natura giuridica di tale tipo di accettazione, si menzionano solo le ipotesi in cui il legislatore sembra contemplare ipotesi di accettazione presunta; esse si rivengono:
- nell’ 485 c.c., 2° e 3° comma, che si riferisce al possessore dei beni ereditari che non compie l’inventario entro il termine previsto dalla legge.
- nell’ 527 c.c., che si riferisce al chiamato all’eredità che abbia sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità;
- nell’ 586 c.c., che si riferisce all’acquisto, da parte dello Stato, dell’eredità in mancanza di altri successibili.
3. L’acquisto dell’eredità per effetto del possesso
Occorre soffermarsi, anche ai fini della comprensione della sentenza in commento sull’art. 485 c.c., il quale stabilisce che:
- il chiamato all’eredità, quando è nel possesso di beni ereditari a qualsiasi titolo, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione
- che, trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è da considerarsi erede puro e semplice.
La previsione di cui all’articolo in commento, secondo l’opinione prevalente[11], da luogo ad un fenomeno di acquisto automatico della qualità di erede che, la legge, fa discendere dal suo comportamento.
Secondo altri [12] autori invece, si tratterebbe di acquisto ope legis, senza che vi sia alcun atto di accettazione.
La giurisprudenza[13] e la dottrina[14] prevalenti invece ritengono che tale articolo dia luogo ad un terzo tipo di accettazione che si affianca a quella espressa e tacita.
Il meccanismo di cui all’art. 485 c.c., viene quindi assimilato a quello previsto dagli artt. 476 e 477 c.c., in quanto l’acquisto dell’eredità viene ricondotto ad un comportamento volontario del chiamato, i cui effetti sono prodotti direttamente dalla legge e non dalla volontà delle parti.
Viene quindi nuovamente in rilievo la concezione oggettivistica, di cui abbiamo trattato in precedenza, che è alla base dell’accettazione tacita.
Il legislatore con l’espressione possesso dei beni fa riferimento a tutte quelle ipotesi di possesso materiale o di fatto comprensivo anche della detenzione[15]. La giurisprudenza[16] rileva come si possa trattare anche del possesso di un solo bene, nonostante la lettera della norma faccia riferimento a “possesso di beni”
La giurisprudenza[17] ritiene che il possesso di cui all’art. 485 c.c., non deve necessariamente manifestarsi in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà dei beni ereditari, ma si esaurisce in una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato all’eredità.
Tale relazione fattuale consiste quindi nell’esercizio di concreti poteri sui beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario: da ciò ne consegue che la previsione legale si estende ad ogni specie di possesso e include anche la detenzione a titolo di custodia o di affidamento temporaneo.
A tali elementi deve aggiungersi anche che il chiamato deve essere nella consapevolezza di possiede beni appartenenti al relictum ereditario[18].
Ai fini dell’art. 485 c.c., ha rilievo anche la situazione di compossesso, in quanto la Corte di Cassazione[19] ha statuito che il compossesso di un patrimonio ereditario indiviso non esonera il chiamato all’eredità dall’osservanza delle disposizioni di legge sul beneficio di inventario laddove voglia evitare di essere considerato quale erede puro e semplice, una volta trascorso il termine di legge di cui all’art. 485 c.c.
Il chiamato infatti deve redigere l’inventario dei beni ereditari e il termine di tre mesi decorre, a seconda dei casi, dalla data di apertura della successione o da quella in cui ha notizia della devoluta eredità, se il chiamato è già nel possesso dei beni ereditari; ovvero dalla data di acquisto del possesso dei beni, se successiva a quella indicata; ovvero ancora dal momento in cui il chiamato, già nel possesso dei beni ereditari, divenga consapevole del carattere ereditario dei beni posseduti.
4. Rinuncia all’eredità
La rinuncia all’eredità, che non comporta rinuncia ai legati, in quanto trattasi di chiamate indipendenti tra loro, è il negozio con cui il chiamato dismette il diritto di accettare l’eredità, senza trasferirlo ad altri.
E’ un negozio giuridico unilaterale, limitatamente revocabile fintantochè non sia accettata da altri la quota di patrimonio ereditaria delata, nonché un actus legitmus che al pari dell’accettazione non tollera l’apposizione di termini o condizioni.
Il termine entro cui effettuare la rinuncia si identifica implicitamente in dieci anni, decorrenti dalla data di apertura della successione, in quanto in tale termine si prescrive il diritto di accettare ex art. 480c.c.
Tale termine si abbrevia qualora uno dei soggetti che ha interesse alla successione si rivolga all’autorità giudiziaria con l’actio interrogatoria, azione che consente al giudice di fissare un termine entro cui il chiamato deve dichiarare di accettare o meno l’eredità a lui devoluta.
Il legislatore ha previsto alcune ipotesi in cui il chiamato decade dalla facoltà di rinunciare; tali ipotesi sono quella di cui all’art. 485, 2° comma, c.c. precedentemente analizzata; quella di cui al terzo comma del medesimo articolo; nonché l’ipotesi prevista dall’art. 527 c.c.
Relativamente agli effetti che la rinuncia produce, tale atto fa sì che il chiamato è da considerarsi come mai chiamato all’eredità quanto perde ab origine la qualità di erede.
L’art. 521 c.c. deve essere letto in combinato disposto con l’art. 525 c.c., difatti gli effetti della rinuncia sono stabilizzati solo quando gli altri chiamati accetteranno l’eredità, in quanto, in questo intervallo la rinuncia potrebbe essere revocata.
L’articolo 521 c.c. inoltre statuisce che la rinuncia all’eredità non comporta rinuncia ai legati e alle donazioni effettuati dal de cuius e le porzioni attribuite al beneficiario di tale disposizioni a titolo particolare saranno da ritenere sulla disponibile in quanto il chiamato, avendo rinunciato, non viene più considerato come erede e quindi la sua attribuzione potrà essere oggetto di eventuali azioni di riduzione da parte di legittimari lesi o pretermessi.
5. Accettazione e rinuncia del legato
Ai sensi dell’art. 649 c.c., il legato si acquista automaticamente, ovvero il beneficiario del lascito a titolo particolare risulta, al momento di apertura della successione titolare del diritto.
Per evitare quindi il consolidamento dell’acquisto a titolo particolare, il legato andrebbe rifiutato “impeditivamente”[20] ovvero si tratterebbe non di rinuncia da di rifiuto impeditivo che non consente la consolidazione della fattispecie acquisitiva e quindi il definitivo acquisto di un diritto che fino a quel momento può considerarsi provvisorio.
Pertanto, nel caso di legato, l’acquisto si considera acquisito se entro dieci anni dall’apertura della successione, non è pervenuta la rinunzia all’acquisto medesimo o se è scaduto il termine di cui all’art. 650 c.c.
Una parte minoritaria, seppure autorevole, della dottrina[21] ritiene che nonostante la contraria lettera della legge l’accettazione sia essenziale per il perfezionamento della fattispecie acquisitiva del legato.
Anche per il legato, secondo la dottrina sopra citata, esisterebbe uno stato di pendenza al pari di quello cui dà luogo la delazione dell’eredità, così come confermato dall’articolo 650 codice civile sopra citato: si osserva infatti che la previsione di un termine per l’esercizio della facoltà di rinunzia non avrebbe senso se non vi fosse uno stato di incertezza da eliminare.
Relativamente invece al legato ex lege, la cui validità è oggi ammessa dalla dottrina, si discorre se esso sia un’ipotesi di vocazione universale ovvero a titolo particolare, concludendo per la seconda prospettazione, inquinato si dovrebbe prescindere dalla fonte e ci si deve concentrare sulla qualità della vocazione a titolo particolare.
Tale tipo di legato trova la sua fonte nella legge e ad esso si applicheranno le norme in materia di legati.
6. Diritti di uso e abitazione spettanti al coniuge superstite
Un particolare tipo di legato ex lege, integrante anche un caso di vocazione anomala, è quello disposto dall’art. 540, 2° comma, c.c.
Tale articolo disciplina i diritti di uso e abitazioni spettanti al coniuge superstite sull’abitazione destinata a residenza familiare.
La ratio di tale istituto discende dal fatto che il legislatore ha voluto tutelare lo status symbol del coniuge superstite.
I diritti in esame infatti “consentono al coniuge rimasto in vita di vivificare i valori extra-patrimoniali costitutivi dell’individualità, i quali rischierebbero di essere annientati se egli fosse costretto a subire […] il distacco dall’ambiente in cui si sviluppò nel tempo la comunanza di vita del consorzio coniugale” [22]
I presupposti per il sorgere di questi diritti sono due:
- la sussistenza di un valido matrimonio
- la casa deve essere di proprietà esclusiva del coniuge defunto o comuni
Pertanto, tali diritti non spetterebbero in mancanza di un valido matrimonio.
La Corte costituzionale[23] riafferma implicitamente la disparità di trattamento tra soggetti legati dal vincolo matrimoniale e persone unite more uxorio, statuendo che in realtà non si ravviserebbe tale disparità poiché le fattispecie in esame sono ben distinte e non comparabili.
La scelta del legislatore, secondo la Suprema Corte, è quella di conferire al matrimonio “una dignità superiore, tenuto conto dei caratteri di stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimoni.” [24]
Relativamente al secondo presupposto, i diritti di cui all’art. 540, 2° comma, c.c. non sussisterebbero in caso di convivenza more uxorio e non spetterebbero neppure in caso di comproprietà, tra il de cuius e terzi, della casa adibita a residenza familiare.
In tale ultimo caso, parte della giurisprudenza[25] ha ritenuto che sorgerebbe a favore del coniuge un diritto di credito pari all’equivalente monetario di tali diritti e ciò per evitare intenti elusivi della normativa.
Relativamente alla natura giuridica di tali diritti, si parla di legati ex lege; tali diritti infatti spettano al coniuge in presenza del presupposti di legge sopra citati.
il coniuge quindi acquista tali diritti senza bisogno di accettazione ma li acquista per il solo fatto di trovarsi nella situazione di fatto prevista dal legislatore.
6.1. Le posizioni della giurisprudenza
In dottrina e in giurisprudenza si è creata una querelle relativamente all’attribuzione di tali diritti al coniuge superstite e la questione implica la soluzione di due nodi esegetici tra loro concatenati: l’uno, se nella successione legittima i diritti oggetto di indagine, spettino al coniuge legittimamente sposato oltre che al coniuge putativo; l’altro, se gli stessi spettino al coniuge superstite sia in caso di successione legittima che in caso di successione necessaria nonché al loro computo.
Il dibattito, in relazione al primo punto, si è aperto perché l’art. 584 c.c. sembra attribuire al solo coniuge putativo i diritti in questione, attribuendo quindi al medesimo una tutela qualitativa.
Tuttavia tale lettura restrittiva avrebbe però comportato una lettura lesiva del principio di eguaglianza[26].
La Corte Costituzionale intervenendo sul punto ha sancito che i diritti di uso e abitazione devono essere riconosciuti anche al coniuge unito da un valido matrimonio concludendo che il mancato richiamo all’articolo in esame vale ad escludere che i diritti in esame si cumulino con la quota, attribuitagli ex art. 581 c.c.
In relazione al secondo punto, in un primo momento la giurisprudenza[27] e la dottrina ritenevano che tali diritti dovessero computarsi solo in relazione alla quota di successione necessaria spettante al coniuge superstite, essendo invece ricompresa nella quota di successione legittima.
Secondo una prima lettura, nella successione ab intestati, i diritti di uso e abitazione, allorché oltrepassano la disponibile, incidono in primis sulla porzione riservata a coniuge superstite e, soltanto in quanto necessario, su quella dei figli.
Secondo tale lettura saremmo al cospetto di un meccanismo simile a quello dell’art. 564, 2° comma, c.c., e quindi il legato normativo è integralmente assorbito dalla disponibile.
Secondo una seconda lettura, i diritti di uso e abitazione nella successione suppletiva devono essere considerati alla stregua di due prelevati ex legge, con l’effetto che i suddetti diritti rientranti nella sfera patrimoniale del coniuge, dovrebbe essere detratto dalla massa ereditaria.
Tale dibattito ha trovato di recente soluzione con una pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione[28] la quale statuisce che tali diritti spettino in aggiunta sia nella successione necessaria che nella successione legittima e che pertanto ai fini del calcolo “occorrerà stralciare il valore capitale di tali diritti secondo una modalità simile al prelevato e poi dare luogo alla divisione tra tutti gli eredi, secondo le norme della successione legittima, della massa ereditaria dalla quale viene detratto il suddetto valore, rimanendo invece compreso nell’asse il valore della nuda proprietà della casa familiare e dei mobili che la corredano”[29].
7. Conclusioni
La pronuncia in esame analizza vari profili partendo dal fatto che il coniuge superstite era nel possesso dei beni ereditari, nel caso di specie della casa familiare, non come erede ma come legataria ex lege e pertanto ad essa non si applicano le norme in materia di rinuncia all’eredità ex art. 485 c.c., analizzate nel corso del commento.
Tale qualifica di legataria ex lege, consentirebbe al coniuge di tenere distinte le due delazioni, a titolo universale nonché a titolo particolare, permettendogli anche di poter esprimere volontà disgiunte; egli potrebbe, invero, accettare l’eredità e rinunziare al legato o, viceversa, rinunziare all’eredità senza che ciò comporti anche rinunzia al legato.
Tuttavia il fatto che il coniuge superstite si trovasse nel possesso della casa familiari e dei mobili che la corredano, non fa sì che la medesima possedesse in qualità di erede ma di legataria e pertanto, non applicandosi le norme di cui agli art. 485 ss. c.c., non risulta tardiva la sua rinuncia.
[1] L.Ferri, Successioni in generale, art. 512-535, 72 ss;
F.Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, 442
[2] Cass., Sez. II, 11 Marzo 1988, n.2403
[3] L.Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, 1997, 81
[4] G.Grosso-A.Burdese, Le successioni. Parte generale, in Trattato di diritto civile, diretto da F.Vassalli, Utet, Torino, 1977, 164
[5] L.Ferri, op.cit., 270
[6] ex multis: Cass.Civ. sez. II, 9 Luglio 1971, n.2200, in Giust.civ., 1972, I, 164
[7] Cass.Civ., Sez.II, 5 Maggio 1967, n.881, in Giust. Civ., 1967, I, 1669
[8] Cass.Civ. Sez. II, 17 Novembre 1999, n.12753
[9] Cass.Civ., Sez.II,28 Febbraio 2007, n.4783
[10] Cass.Civ., Sez. II, 30 Ottobre 1992, n.11813: “secondo cui la denuncia di successione può costituire elemento indiziario liberamente valutabile ai fini dell’accettazione tacita.”
[11] G.Grosso-A.Burdese, op.cit., 303
[12] L.Saporito, L’accettazione dell’eredità, in Respingo (a cura di), Successioni e donazione, I, Cedam, Padova, 1994, 224
[13] Cass. Civ., Sez. III, 20 Marzo 2006, n. 7226; Cass. Civ., Sez. II, 22 Marzo 1999, n. 2663, in Riv. Not., 1999, 1538
[14] F.S.Azzariti-G.Martinez-G.Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Cedam, Padova, 1973, 81
[15] L.Ferri, op.cit., 336
[16] Cass. Civ., Sez. II, 14 Maggio 1994, n. 4707, in Arch. civ., 1994, 1253
[17] Cass. Civ., Sez. II, 25 Luglio 1980, n. 4835
[18] Cass. Civ., Sez. II, 5 Giugno 1979, n. 3175, in Giust. Civ., 1980, I, 1, 510.
[19] Cass. Civ. Sez. II, 19 Marzo 1998, n. 2911, in Foro it., 1998, I, 2170
[20] V.Sciarrino, La rinunzia all’eredità, in Il codice civile . Commentario, fondato da P.Schlesinger, Giuffrè, Milano, 2008, 275
[21] A. Cicu, op. cit., 234 ss.
[22] V. Cuffaro, Successioni per causa di morte, Giappichelli Editore, Torino, 14
[23] Corte Cost., 26 Maggio 1989, n. 310, in Giust. Civ., 1989, I, 1782
[24]V. Cuffaro, Successioni per causa di morte, Giappichelli Editore, Torino, 15
[25] Cass.civ. 10 Marzo 1987, n. 2474, in Vita Notarile, 1987, 750
[26] L.Ferri, I diritti di abitazione e di uso del coniuge superstite, in Studi in onore di L. Spinelli, IV, Mucchi, Modena, 1989, 1367
[27] Cass. Civ. 6 Aprile 2000, n. 4329, in Notariato, 2001, 357
[28] Cass.Civ. Sez.Unite, 27 Febbraio 2013, n.4847, in Giur. It., 2013, 1779
[29] Cass.Civ. Sez.Unite, 27 Febbraio 2013, n.4847, in Giur. It., 2013, 1779